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Il Maggio butese

Il Maggio butese

Una tradizione rivoluzionaria

L’origine del Canto del Maggio si perde nella notte dei tempi. La natura, le vicende umane, il succedersi delle stagioni e della loro ritualità, portati di casa in casa, musicati, rimeggiati e declamati, sono i temi che accompagnano quest’antica tradizione forse fin dall’epoca etrusca, diffusa soprattutto in piccoli centri lungo la dorsale appenninica dell’Italia centro-settentrionale (Liguria, Toscana, Emilia) nelle sue svariate declinazioni.

A Buti si conserva una corrente di questo canto popolare, che ha sviluppato prerogative di unicità e che continua a destare interesse per le sue frequenze auliche e rivoluzionarie, epiche quindi, sia per i temi trattati, che affondano le loro radici negli antichi racconti tramandati per secoli oralmente in tutta l’area mediterranea, sia per costumi e movenze, che richiamano la tradizione siciliana dei pupi, pur nella loro ambientazione fortemente ancorata al mondo contadino e bucolico della Toscana ottocentesca.

l'800 di Pietro Frediani

La Compagnia del Maggio lega il suo nome a Pietro Frediani, pastore e poeta vissuto a Buti dal 1775 al 1857, autore di oltre 50 Maggi e diversi sonetti, nonché poemi in ottava rima, noto al tempo ben oltre i confini locali e molto rispettato da signori e letterati. Risulta, dai racconti dei paesani, un uomo modesto seppur conscio del proprio valore, un saggio, capace di ammutolire con una battuta colorita chiunque sorridesse dei suoi costumi contadini, delle sue scarpe grosse o del suo ombrellaccio a tracolla. Frediani, senza studi accademici, forte solo di un buon orecchio e di una grande passione, padroneggia ampiamente la penna e il mezzo espressivo della rima per costruire, nei suoi componimenti, personaggi ben delineati con approfondite descrizioni psicologiche.

Viene presto considerato un riformatore del genere per aver sviluppato un vero e proprio codice innovativo: i suoi Maggi hanno una forte carica emotiva e sono privi di interventi meramente spettacolari, non ci sono moresche né intermezzi comici, il tono è sempre elevato come un vero e proprio dramma, edificante o didattico, tragico o elegiaco a seconda dell'argomento o dell'azione scenica. Eliminato l'accompagnamento strumentale e le danze, l’attenzione può centrarsi tutta sul contenuto e sulla drammaturgia così che lo spettatore viene coinvolto nelle vicende eroiche di uomini e donne in cui non è difficile identificarsi per la loro spiccata umanità.

 

Negli stessi anni in cui visse il Frediani prendeva corpo a Buti, in un clima di sostenuto fermento culturale, l’Accademia dei Riuniti, un’organizzazione composta da personaggi di spicco e famiglie facoltose che si occupò dell’edificazione del Teatro degli Illustrissimi Signori Accademici Riuniti in Buti, inaugurato nel 1842. Il Frediani salutò questa novità con un’invettiva al vetriolo, eppure i suoi Maggi e le successive messe in scena ad opera di Angiolo Bernardini, capomaggio dell’epoca, risentirono in quegli anni sempre più fortemente della teatralità ottocentesca di opere liriche ed operette, sia negli sviluppi della trama che nei costumi. Prima di allora i Maggi erano rappresentati tramite il cosiddetto “canto a piazza”, che si svolgeva all’aperto e senza particolari costruzioni sceniche. I Maggi del Frediani allestiti dal Bernardini, sono invece opere che si dipanano in una scena frontale “all'italiana" e che hanno perso la concezione della rappresentazione circolare che per secoli ha nutrito i modelli. Si è spenta anche ogni ritualità e le più profonde simbologie legate alla natura e alle memorie di riti pagani. Con Frediani il Maggio diventa una forma di teatro moderno, elaborata secondo i modi della tradizione popolare. Una rivoluzione quindi che rappresenta ancora un unicum nel panorama del canto popolare.

 

La Compagnia del Maggio nasce in questo clima sul finire dell’800 come Società del Canto del Maggio e si riunisce inizialmente negli spazi messi a disposizione da Giovanni Danielli, cospicuo signore dell’epoca la cui famiglia, pur pienamente inserita tra i maggiorenti butesi, si distingue al tempo per le relazioni informali e affabili intrattiene con il mondo rurale. 

Di fatto, gli esordi del nuovo secolo vedono delinearsi a Buti due importanti realtà culturali, apparentemente molto distanti tra loro, ma con chiare analogie, due ambienti che inevitabilmente evolveranno in modo parallelo, influenzandosi a vicenda e stimolandosi reciprocamente sulla via della modernità. 

Da un lato si trova l’Accademia dei Riuniti, che nonostante riconoscesse gli argomenti elevati e la drammaturgia ben fatta dei Maggi del Frediani, continuava a tener distante il Teatro del Maggio dal “sacro recinto” dalla cultura letteraria raffinata, di cui si faceva portavoce attraverso le opere e le operette che metteva in scena nel Teatro di Buti. 

Dall’altro i salotti di casa Danielli, che con l’avvento del XX secolo mostravano particolare sensibilità alle nuove istanze contadine, tanto che alcuni esponenti della famiglia (nota 1)  avevano iniziato ad affiancare i movimenti operai e socialisti che avrebbero cambiato il corso della storia. Questo ambiente si dimostrava accogliente e costruttivo verso i crescenti fermenti culturali popolari e propenso a mettere a disposizione risorse e strumenti per favorirne lo sviluppo. La grande stanza, offerta dal Danielli si trasformò ben presto, grazie agli interventi di maggianti e appassionati, in un vero e proprio teatrino, con tanto di sipario e quinte e vide svolgersi tra l’aprile e il giugno del 1896 ben 42 rappresentazioni di Teatro del Maggio

 

Portare in un luogo chiuso quest’antica tradizione comportò sottili variazioni senza che fossero mai dei veri e propri stravolgimenti. Se il palcoscenico mutò l’assetto dei maggianti non ne influenzò la gestualità, che restava ancora quella conosciuta e tramandata, né si piegarono al bel canto le sonorità e i vocalizzi. 

Si giunse a produrre costumi non più con materiali di recupero, ma con sete e velluti copiando la sartoria teatrale dell’epoca ma questo non cambiò lo stile di fondo: abiti e decoro scenico restarono totalmente avulsi dall'epoca della narrazione, come accadeva nel teatro rinascimentale o barocco. Ancora oggi, la totale mancanza di storicizzazione resta una delle caratteristiche sostanziali del genere: i cavalieri assedianti Gerusalemme e gli eroi del mito epico sono vestiti allo stesso modo, Medea veste gli stessi abiti della Pia dei Tólomei, e solo pochi particolari, in cui spesso emerge tutta l’artigianalità del popolo butese, differenziano i personaggi da un Maggio all’altro.

Il '900 e la Fase di latenza

Pian piano anche il Teatro dei Riuniti aprì le porte alla Compagnia del Maggio ed è noto che nel 1922 siano entrati nella stagione teatrale di versi Maggi, tra cui Antonio Foscarini, Demofonte, Pia de’ Tolomei. Il Maggio butese continua, per tradizione ininterrotta, fino agli anni ’50 quando trova spazio, nella memoria dei paesani, La forza del destino di Nello Landi, uno degli ultimi Maggi rappresentato nel 1952. 

 

Nel dopoguerra, complici i repentini cambiamenti sociali che trasformano la maggior parte dei contadini, dei pastori e dei braccianti butesi in volenterosi operai delle fabbriche nelle città limitrofe, il Maggio si avvia ad una fase di latenza. Lo stesso Teatro dei Riuniti si trasforma in fretta in un più richiesto cinematografo, con radicali trasformazioni strutturali e vere e proprie manomissioni architettoniche soprattutto nella parte del palcoscenico. Feste di fine anno, di carnevale, anniversari si succedono all’interno dell’immobile e del Maggio rimane solo la registrazione del 1959 di alcuni brani, sotto la direzione di Leopoldo Baroni, per inserirli nell’antologia discografica Albatros curata da Roberto Leydi. (nota 2)

L'Incontro con il Cinema di Paolo Benvenuti

Se in un certo senso fu a causa del cinema che venne sopito il Maggio butese è certamente per merito del cinema che poté risorgere e diffondersi in un panorama artistico e culturale sempre più vasto.

 

Nei primi anni ’70 il regista Paolo Benvenuti s’imbatté per caso in Ferdinando Bernardini detto Farnaspe che “cantava di Maggio” lavorando negli olivi come aveva sempre fatto, portatore inconsapevole di una vecchia tradizione ormai sulla via della scomparsa. Il regista, affascinato, si intrattenne a lungo nei mesi a venire con quei contadini, che in modo del tutto naturale riempivano ogni spazio di una potente teatralità. Scoprì con stupore che il Teatro del Maggio, dimenticato nei trent’anni precedenti, aveva sviluppato a cavallo del ‘900 in modo del tutto spontaneo, il senso della distanza inteso in senso brechtiano, che conferiva a queste messe in scena funzioni civili e sociali, suscitando istintivamente nello spettatore atteggiamenti analitici e critici rispetto ai fatti rappresentati. 

Benvenuti lavorò a lungo per far emergere dall’intera comunità manoscritti originali, fotografie d’epoca, stampe e disegni che potessero riportare alla memoria il contesto ambientale, scenico e di costume che aveva dato vita ad una così potente trasformazione di una tanto antica tradizione. Stimolò i maggianti ad allestire di nuovo una rappresentazione ed è del 1972 la pellicola Medea – Un Maggio di Pietro Frediani prodotta da Cepa Film per i Programmi Sperimentali della Rai, (nota 3) un vero e proprio documentario sul Maggio butese.

 

Medea viaggia, in seguito a questa rinnovata luce, da Buti a Nancy dove riscuote un grandissimo successo al Festival del Teatro Popolare. Fu nel 1973 che Gino Felici, capomaggio, e Nello Landi, maggiante, compositore di Maggi e poeta estemporaneo di contrasti in ottava rima, si dedicarono a ricostituire la Compagnia del Maggio, con l’impegno a preparare un Maggio all’anno, per coltivare di generazione in generazione ciò che i più anziani avevano conservato. Negli anni a seguire fu riadattato il repertorio esistente e furono composte nuove produzioni; i maggianti butesi furono parte attiva per la realizzazione e lo sviluppo della Rassegna Nazionale del Maggio Drammatico nell’area Tosco-Emiliana del 1978.

Il Teatro del Maggio e il Sodalizio con dario Marconcini

Come fin dagli esordi, le sorti della Compagnia del Maggio sono strettamente legate alle vicende del Teatro di Buti, e fu così anche negli anni ’80, quando nuovamente i cammini di queste due realtà si affiancarono per collaborare alla rinascita culturale dell’intero paese.

 

Alla fine degli anni ‘70 il Teatro dei Riuniti si presentava come una struttura decadente e pressoché inagibile. Finita l’epoca del cinematografo e delle feste danzanti gli interventi subiti avevano così tanto deturpato la struttura da non renderla più utilizzabile per nessuna funzione collettiva. La proprietà restava dell’Accademia dei Riuniti, per cui ciascuna delle famiglie borghesi che l’avevano costituita ancora possedeva una porzione dell’immobile, identificata spesso con un palchetto da cui assistere agli spettacoli. Fu nel 1977 che il sindaco Lelio Baroni, con il supporto dei Partiti politici e delle Associazioni butesi, avviò le pratiche per l’acquisto dell’immobile al fine di renderlo alla comunità come spazio ad uso culturale. La legislatura successiva non vide disperdersi l’impegno: il sindaco Andrea Balducci attivò ogni possibile canale per finanziare la ristrutturazione dell’immobile e riportare la struttura del Teatro di Buti agli antichi fasti di affreschi e velluti; parallelamente la commissione alla cultura, presieduta dall’assessore Anna Baroni, continuò a tessere la rete delle relazioni tra le varie associazioni butesi, stringendo le maglie tra la Compagnia del Maggio Pietro Frediani e la Filodrammatica Francesco di Bartolo ai fini di una futura gestione collettiva dell’immobile.

 

Fu grazie a Paolo Bernardini, impegnato a livello regionale in attività culturali, che si giunse ad un incontro determinante, sia per le sorti del Teatro di Buti che per quelle della Compagnia del Maggio.

 

Nel 1984 due giovani registi legati al Teatro di Ricerca di Pontedera furono condotti a Buti dal Bernardini, incuriositi da questa antica forma di Teatro popolare: Dario Marconcini e Paolo Billi si dedicarono in quell’anno ad una forma di teatro sperimentale che provava ad integrare i canoni caratteristici del Maggio butese come sino ad allora conosciuto con elementi di nuova teatralità, senza snaturarlo ma tentando ancora una volta una spinta innovativa che permettesse a quest’arte di sopravvivere al cambiamento dei tempi.

In un Teatro ancora in cantiere, tra calcinacci e impalcature, con una buona dose di coraggio da parte del sindaco Balducci e di impegno della Compagnia del Maggio Pietro Frediani e della Filodrammatica Francesco di Bartolo, “Una Traversata con i Promessi Sposi” di Dario Marconcini e Paolo Billi fu il primo spettacolo in cui si incontrarono tradizione e ricerca, attori professionisti e maggianti, e fu la prima volta che a Buti si sperimentarono nuove possibilità teatrali e narrative, la prima di una lunga e florida campagna di rivoluzione culturale.

 

Il Canto del Maggio, sotto la direzione dei due registi, dimostrò di poter nuovamente evolvere per continuare a vivere con ritrovata passione. Tornò a suscitare in quegli anni, l’interesse e l’attenzione sia di un pubblico più colto che della gente comune, dei giovani, della scuola, nonostante le tendenze del periodo storico considerassero sempre più spesso le tradizioni come qualcosa da superare, da rimuovere. Con le caratteristiche di sempre il Canto del Maggio parlava numerosi registri, rivolgendosi con facilità a tipi diversi di pubblico e favorendo molti spunti di riflessione anche in una società così modificata rispetto a quella che lo aveva accolto e conservato.

 

In quest’ottica nel 1985 nasce l’idea della Passione di Gesù Cristo che rappresenta per il Maggio butese un’ulteriore tappa del suo cammino rivoluzionario attorno alla tradizione.

Mai prima di allora le tematiche del Maggio avevano incluso argomenti religiosi. Può sembrare sorprendente che non sia stato toccato l’argomento  sacro tra la fine dell’800 e i primi del ‘900, in un contesto sociale prevalentemente contadino o piccolo artigiano che certamente si muoveva secondo regole e riti di matrice religiosa e patriarcale.  Allo stesso modo sorprende che in un simile contesto i Maggi del Frediani accolgano tra i protagonisti indifferentemente eroi ed eroine, uomini e donne, con una visione decisamente moderna per l’epoca, in grado di offrire anche alle donne la possibilità di cantar di Maggio e vestire i panni di modelli femminilità forti e indipendenti come Medea, Genoveffa di Bramante, Pia de’ Tolomei o Paola da Buti.

La Passione di Gesù Cristo introduce quindi un tema che niente ha a che fare con la tradizione, ma che proprio grazie a questo suo porsi in una dimensione di rottura, si allinea di fatto allo stile innovatore e destabilizzante dei poeti e dei maggianti butesi, al metodo progressista che ha permesso al Maggio di conservare i propri canoni nei secoli e di diffondersi ben oltre i confini locali. Il Maggio della Passione rappresenta quindi un vero e proprio falso e la scommessa vinta da Marconcini e Billi è quella di aver reso un falso profondamente classico e profondamente parte della tradizione. 

 

Ispirati da Il Vangelo secondo Matteo di Pierpaolo Pasolini furono i due registi a stimolare il poeta butese Enzo Pardini nella produzione di nuove quartine, fino alla composizione di un Maggio in cinque atti, che vedrà coinvolto l’intero paese e condurrà il pubblico per strade, piazze e sagrati di Buti, con scene spettacolari e immagini profondamente evocative. La grande levatura dei registi e la dedizione con cui la Compagnia del Maggio si mette a disposizione, segna con questa rappresentazione del 1985 un nuovo significativo passo evolutivo che porta il Teatro del Maggio butese a pieno diritto, nel panorama della Cultura italiana.

 

La Passione di Gesù Cristo conduce la Compagnia del Maggio all'isola di Capoverde per il Festival Sete sois sete luas, nella cattedrale di Sant'Eustorgio a Milano davanti al cardinal Martini per il Festival Il Canto delle Pietre, a Roma, al mercato del pesce e sui fossi di Livorno, in mezzo agli scavi archeologici di San Piero a Grado, nella Chiesa dei Cavalieri a Pisa. 

La Medea porta i maggianti in Sicilia a Erice, in Emilia Romagna a sant’Arcangelo di Romagna e in Portogallo oltre a tutte le rappresentazioni svolte sul territorio toscano. Più avanti l’Orfeo ed Euridice di Dino Landi sarà rappresentato nell’abbazia di Royamount nei pressi di Parigi.

 

Parallelamente ai Maggi la Compagnia partecipa sotto la regia di Dario Marconcini a spettacoli di teatro di ricerca affiancando attori professionisti di spessore, come Marisa Fabbri, Toni Servillo, Luisa e Silvia Pasello, Elisabeth Albahaca, Filippo Timi, Giovanna Daddi: Una traversata con i promessi sposi, Medea di Pietro Frediani, Per una Gerusalemme, La Gerusalemme liberata, Il Maggio della Passione, Sant’Oliva, Chi soffre speri, Scene da Peer Gynt, Brecht mi ricordo, A ciascun giorno basta il suo affanno, Scene da Arturo Ui, Il maiale Pirandello e Cristo in croce, Madre courage, In Tauride, Letture dall’Inferno di  Dante, Faust, Le donne i cavalier l’armi gli amori, La natività di Dino Landi, Un Inferno con la produzione di ArcaAzzurra, San Francesco.

 

Dario Marconcini assume nel 1987 la direzione artistica del Teatro di Buti, inanellando Stagioni Teatrali degne di rilievo nel panorama nazionale e produzioni con l’Associazione Teatro Buti, sorta al termine dei lavori di ristrutturazione per gestire il Teatro intitolato a Francesco di Bartolo, intellettuale butese e primo commentatore della Divina Commedia. Marconcini continua tutt’oggi incessantemente il suo lavoro di integrazione tra Maggianti e attori professionisti, annoverando esperienze che arricchiscono non solo la Compagnia del Maggio, ma l’intera comunità butese. 

Oltre alle esperienze di carattere teatrale la Compagnia ha pubblicato documenti e studi sulla tradizione del Maggio, materiale fotografico ed audiovisivo, che costituiscono oggi, un patrimonio di notevole interesse culturale per l’Archivio della Compagnia stessa e per il Teatro Popolare in genere.

(Nota 1)  Vedi Jacopo Danielli (Buti, 1859 - Campiglia Marittima 1901) biografia al link https://www.treccani.it/enciclopedia/iacopo-danielli_(Dizionario-Biografico)/

(Nota 2) Pubblicata dalle Edizioni Sciascia la Albatros era la più importante collana discografica a livello europeo per la musica popolare italiana e internazionale, che raggiunse circa duecento numeri divisi in varie sezioni. Vedi link https://www.blogfoolk.com/2011/11/italia-vol1-2-3-antologia-cura-di.html

(Nota 3) Per approfondimenti https://www.comune.re.it/cinema/catfilm.nsf/PES_PerTitoloRB/CC3B03F442EC6321C125742E004A474E?opendocument

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